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Apple: è davvero crisi?

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Nelle settimane precedenti le azioni di Apple hanno toccato il minimo storico, scendendo al valore di 384 dollari ciascuna. Una brutta caduta per l’azienda di Cupertino, i cui titoli, solo nel mese di settembre 2012, erano scambiati a 700 dollari e si sperava di raggiungere addirittura i mille entro il primo trimestre del 2013.

Forbes parla di una prossima sostituzione di Tim Cooks, amministratore delegato indicato come successore dallo stesso Steve Jobs. Non entusiasmanti i risultati della sua direzione; l’unico prodotto lanciato infatti dal suo arrivo, l’iPad mini non ha riscosso il successo atteso. L’azienda nel periodo gennaio-marzo, potrebbe aver perso addirittura una quota di mercato pari al 18%, con un calo degli ordini molto alto per iPhone 5, e risultati inferiori alle attese su iPod e Mac.

 

Apple resta chiaramente un colosso, addirittura di 60 miliardi di dollari la sua liquidità; quello che preoccupa infatti non è il calo delle vendite, quanto la caduta del “mito”. Il problema non sono di certo i nuovi prodotti, di alto livello come da tradizione, né la direzione di Cooks, coerente con quella di Jobs, ma la concorrenza. Fino a non molto tempo fa i dispositivi Mela erano innovativi e soprattutto unici, ora non solo Samsung, ma ancora Google, Microsoft e altre aziende tecnologiche producono strumenti a prestazione elevate con sistemi, come quelli Android, funzionanti al meglio.

 

Che dire poi dei prezzi? Nettamente inferiori. I “gioiellini” Apple sono venduti al di sopra di ogni ragionevole cifra e sempre più utenti scelgono di acquistare un Samsung Galaxy rispetto ad un iPhone. Lo stesso vale per i tablet, che risultano molto spesso preferiti agli iPad. Complice anche una pressante campagna pubblicitaria da parte di Samsung negli Stati Uniti atta proprio a screditare melafonini and co, gettando sull`azienda di Cupertino l`immagine di marchio di nicchia ormai superato. Per quanto i dati complessivi non siano allarmanti è forse giunto il momento per Apple di fare i conti con la crisi internazionale e rendersi conto che sono sempre meno gli acquirenti disposti a concedersi il lusso del “mito”.